Il padre della storia del Cadore Mons. Giuseppe Ciani

di Celso Fabbro, tratto dal Cadore del 4 novembre 1961

Nel quadro risorgimentale cadorino risalta luminosa la figura di Mons. Giuseppe Ciani, il padre della storia del Cadore, la cui effige in bronzo, viene ora solennemente scoperta in questa sala. Non esito ad affermare che l'onore che oggi tributiamo a Mons. Ciani, è un atto doveroso verso l'uomo insigne che ha acquisito le più alte benemerenze nella nostra regione. Egli è veramente degno di formare parte di quella eletta schiera di uomini illustri del Cadore, che la Comunità ha voluto accogliere in questa storica sala, onusta di grandi gloiose memorie, perché il ricordo di essi venisse tramandato alle future generazioni. Il nome di Giuseppe Ciani non poteva essere rievocato in giornata più adatta di quella odierna, celebrativa dell'unità d'Italia, perché egli fu una nobile, fiera, integra figura di cadorino e d'italiano; — perché egli ebbe il merito precipuo di avere, con opere storiche magistrali, fatto rivivere il ricordo delle antiche secolari tradizioni di libertà e d'indipendenza del nostro Cadore, pubblicando e diffondendo i suoi scritti, con virile ardimento, negli anni della tirannide austriaca, prima e dopo il 1848. Nato a Domegge il 3 novembre 1793, rivelò fin da fanciullo elevato ingegno ed amore allo studio. Avviato al sacerdoozio, fu allievo del Seminario arcivescovile di Udine, ove crebbe sotto la guida di valenti insegnanti, e fu, con merito distinto, ordinato sacerdote nel 1815. Ritornato a Domegge, ivi fu per qualche anno cooperatore della sua parrocchia e volontario maestro dei giovani del suo paese. Passò poi come cappellano a Pieve di Cadore, dove fu pure insegnante ed ispettore scolastico. Dopo il 1820, istituite dall'Austria le scuole elementari obbligatorie, l'autorità scolastica, riconoscendo il valore del giovane Ciani, gli offerse l'ispettorato di tutta la Provincia: offerta che egli declinò, preferendo continuare a perfezionarsi negli studi. Ed a tal fine accolse l'invito di trasferirsi a Padova, quale precettore di una illustre famiglia, per poi passare a Venezia, quale professore in un collegio fra i più rinomati della città. Ivi in breve acquistò fama di buon letterato e di erudito scrittore. Su invito della diocesi di Ceneda, si trasferì poi in quella città, ove raggiunse presto elevati uffici sacerdotali: prorettore nel collegio dei chierici, poi professore di umane lettere e vice-rettore del Seminario, e infine, nel 1841, professore di teologia nello stesso Seminario. Scrisse di lui un suo biografo che « fu quello il periodo « più fecondo, più generoso e più doloroso della sua vita di « sacerdote, di studioso, di patriota: dettò allora le Vite' dei « giovani martiri, orazioni morali, lezioni teologiche, e compilò, in nove anni, la Storia del Popolo Cadorino ». Già in precedenza, nel 1846, aveva pubblicato per primo la storia del «Patto d'arme del 1508», e cioè la battaglia di Rusecco: pubblicazione ardimentosa, perché con essa esaltava una clamorosa e cocente sconfitta dell'Austria. Egli stesso ha narrato come diede inizio e compì la storia del Cadore. « Nel 1855 — egli scrive — studiando, leggendo e lavorando fino alle due, alle tre, e talvolta più ancora, dopo la mezzanotte, diedi principio alla storia e in « nove anni la terminai ». Anche tale storia veniva pubblicata durante la dominazione austriaca: il primo volume usciva a Ceneda nel 1856 ed il secondo a Padova nel 1862. Essa veniva accolta dalla critica con molto favore. Nella assemblea dell'Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, ancora sotto l'Austria, lo storico Agostino Sagredo diceva di lui: « Mons. Rev.mo Giuseppe Ciani... vecchio venerando, sacerdote piissimo ed immacolato, fornito di splendido ingegno « che nudrì di studi profondi e sicuri, e non meno fornito « di sentimenti generosi e incrollabili, — per la sua opera è « oggimai locato nel seggio che merita fra gli storici italiani viventi ».

La sua storia è un inno alla patria e alla libertà

Attesissima dai Cadorini, la sua storia — scrive il Sere­na — « parve subito magnifica come un poema di amor patrio ». Secondo l'esatto giudizio di altro suo biografo — « il suo « patriottismo si argomenta con sicurezza dalla sua storia. In quelle pagine egli raccolse la parte più viva e più cara del suo pensiero : in esse si consolò del servaggio in cui viveva, e sfogò il suo odio contro lo straniero e il suo amore per la libertà. Quel vecchio prete cadorino aveva l'anima di Dante : si piaceva degli spiriti magnanimi, e i vili « aborriva anche più che i malvagi ». Dedica la sua storia alla gioventù cadorina, con una prefazione tutta vibrante di amor patrio e diretta ad eccitare i giovani alla riscossa. Non vi è pagina della sua storia che non sia un inno alla patria e alla libertà. Quando egli narra la vile proposta del capitano veneto, nel 1508, di arrendersi e di consegnare il castello di Pieve alle truppe imperiali, fa pronunciare dal nostro Matteo Palatini parole fiere di sdegno, e cioè che « i Cadorini sono risoluti di vivere e di morire onorati, non da codardi, di combattere i nemici, non di darsi in loro arbitrio ». Premette al secondo libro, quale proemio, questa massima: «ogni uomo... ha maggiori obbligazioni con la patria, che col suo proprio padre ». Quando narra la rivolta degli italiani contro il Sassone Arrigo, sceso in Italia per cingere la corona imperiale, scrive che — « non rimase straniero a quel fremito (di libertà) il «piccolo Cadore», ed esclama: «che di più grande e stupendo sulla terra, che un piccolissimo popolo, il quale infrante le servili catene, si levi e cammini senza posa, né stia, che rivendicati i suoi diritti, le sue libertà? Dio lo « considerava dall'alto, se ne compiaceva, lo benediva... ». E non basta. Premette ad un capitolo altro proemio tratto da un giureconsulto italiano del '600, che è un inno alla libertà, espresso con le seguenti parole : « Sacrosanta cosa è la libertà e di giure divino, perché da Dio medesimo naturata nell'uomo; talché tentarla divien scelleraggine, empietà è assalirla, nefandezza è occuparla ». Quando narra di quattro Cadorini che avevano accettato di presentarsi alla Serenissima in difesa del Cadore, scrive « che era bello ed onorato innanzi a Dio e innanzi agli « uomini, difendere la patria oppressa ». Ed infine, per concludere, ricorderò che dopo avere qualificato le soldatesche imperiali quali «locuste ingorde e voraci», il suo cuore angosciato per la schiavitù della Patria, lo fa prorompere in questa apostrofe infiammata, sicuramente rivolta, nel suo pensiero, alla sua terra natale: « Oh possa tu sorgere dal profondo in cui ti hanno inabissata i tuoi conculcatori ! Essi, i crudeli, ti hanno divisa, «rapinata, divorata: t'hanno corrotta e iniquamente oppressa; che poteano fare di male, che non t'abbian fatto?». Si può ben comprendere quale e quanta influenza debba avere avuto sul popolo cadorino questa opera divulgatrice dei più virili sentimenti di patria e di libertà: questa opera tanto ardimentosa da esporre il suo autore al pericolo di finire i suoi giorni nelle galere o sulle forche dell'Austria. Rimane tuttavia inspiegabile come alla polizia e alla censura austriache abbiano potuto sfuggire le pagine incendiarie di questo coraggioso ardente patriota.

Ciani spirito indipendente e maestro di dignità nazionale

Giuseppe Ciani fu non soltanto un grande italiano, ma anche uno spirito liberale, avverso al potere temporale dei papi: ciò che gli procurò — narra lo storico Ronzon — « una « cieca e sleale persecuzione, la quale crebbe in modo da « chiudergli le porte del santuario, che non gli fu riaperto « che nel 1866 ». Scatenata contro di lui, nel 1865, la furente reazione dei temporalisti di Ceneda, egli proclamò la sua fede incontaminata in Dio e nei precetti della Santa Chiesa Cattolica,ma non revocò il suo pensiero sulle cose mondane e contingenti, intorno alle quali egli disse « è lecito tener l'opinione « che più piace e stimasi ragionevole ». Egli disse ancora : « Nessuno può obbligarmi a rinunciare al mio intimo convincimento, a tradire la mia coscienza, a mentire in faccia a « Dio e agli uomini, asserendo come vero quello che non « sono mai riuscito per alcun argomento a persuadermi che « sia tale ». Visse i suoi ultimi mesi di vita, soffrendo nella umiliazione e nel silenzio. Liberato il Veneto dalla dominazione austriaca, il Commissario del Re della Provincia di Treviso imponeva al Vescovo di Ceneda di rimettere Mons. Ciani nelle facoltà sospese. Ed in pari tempo riconosceva i suoi alti meriti d'italiano, facendogli pervenire, in nome del Re Vittorio Emanue-le II, le insegne di cavaliere mauriziano. Pochi mesi dopo, il 27 marzo 1867, Mons. Ciani, affranto dai dolori sofferti, cessava di vivere a Ceneda ed aveva solenni onoranze anche da parte del clero di quella diocesi. Sulla sua tomba, nel cimitero di Ceneda, la pietra sepolcrale lo ricorda quale sacerdote, patriota, scrittore d'incorruttibile fede, di magnanimi liberi sensi; quale cittadino che sostenne i diritti della propria coscienza in tempi di servitù, elevandosi a maestro di dignità nazionale. Signori ! Questo è l'uomo che il Comune di Domegge e la Magnifica Comunità di Cadore hanno giustamente voluto che fosse onorato e additato alle future generazioni in questa storica ricorrenza, esaltatrice del patriottismo del Cadore.

 
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